domenica 29 settembre 2013


IV Incontro – 24 maggio 2013

“Esclusione dalla cittadinanza: forme di allontanamento materiale e perdita di diritti politici e civili”

Giacomo Todeschini:  “Corpora vilia. Postura economica, appartenenza all’ordine naturale ed esclusione civica fra XIV e XVI secolo”

Reputazione e credibilità della persona si fondano su basi economiche: analizza trattato senese De indiciis et tortura di Francesco Bruni, della fine del Quattrocento, ed in particolare le categorie di persone che, in base a questo testo, potevano essere torturate: ‘viles’ e ‘ignoti’ divengono due categorie che si sovrappongono.
L’esclusione viene in alcuni casi ricondotta all’assenza di capacità intellettive (e conseguente incompetenza economica): i cittadini esclusi appartengono a gruppi di cui non è verificabile la capacità intellettiva. Intersezione tra marginalità e natura, quanto la marginalizzazione sia legata allo ‘ius naturae’. Lo interessa il processo di disumanizzazione che colpisce alcuni gruppi sociali, le forme, in particolare, di animalizzazione con cui, a diversi livelli, vengono ritratti i marginali che presentano, agli occhi di canonisti e civilisti, caratteristiche fisiche di inaffidabilità/incompetenza economica. Esempio degli usurai, che il II Concilio Lateranense del 1139 condanna, ricorrendo alla definizione di insani/rapaci/infami, attraverso un vocabolario che sottolinea la loro inumanità: vi è dietro una lunga tradizione testuale, che parte quantomeno da Isidoro da Siviglia, in cui gli usurai vengono accostati a categorie di animalità.
La sovrapposizione del diritto naturale ai Vangeli, che opera il diritto canonico del XII secolo ed in particolare il Decretum Gratiani, segna l’ingresso della natura nel regno dell’arbitrarietà: che rapporto esiste tra la definizione canonista dello ‘ius naturae’ e la definizione dell’usuraio come insaziabile e rapace? Lo ‘ius naturae’ è attratto all’interno di un campo discorsivo culturale all’interno del quale gli si può far dire un po’ ciò che si vuole.
Esistono tutta una serie di azioni creditizie che implicano il pagamento di interessi, ma che possono essere fatte nel bene della chiesa: per esempio quando si tratta di recuperare dei beni ecclesiastici. Il problema quindi non è l’usura, non il credito, è piuttosto l’inquadramento della categoria di persone che praticano queste attività. L’attenzione si sposta dalle pratiche ai soggetti che praticano quelle pratiche.
Ci sono dei comportamenti che appartengono alla natura (compra-vendita) altri no (servitù). Per Thomas di Chobham (inizio Duecento), gli usurai sono trasgressori perché si ribellano al diritto della chiesa provocando uno scandalo. Il peccato, per Chobham, è nudità, deformità, una via per la fuoriuscita dalla natura umana. Il peccato fa dell’uomo una creatura nuda e irriconoscibile. Interessante la metafora monetaria usata per descrivere la deformità che investe il peccatore: come avviene per la moneta da cui è scancellata l’immagine dell’imperatore, il peccatore perde l’immagine e non viene più riconosciuto da Dio e dagli altri. Una metafora analoga è contenuta anche in una palea del Decretum. Secondo Chobham, il peccato trasforma in animali, trasforma in nullità, bisogna amare il prossimo solo se il prossimo somiglia a Dio, altrimenti no.
Enrico da Susa, intorno alla metà del Duecento,  sottolinea la bontà dell’azione creditizia se compiuta nell’interesse della Chiesa; rappresenta un’azione appartenente a pieno titolo all’ordine di natura, se da essa si trae vantaggio.
Nella seconda metà del XIII secolo, Remigio de Girolami afferma che il comportamento usurario è contra natura vegetabilium- si oppone cioè alle pratiche economiche buone che sono fruttifere (i termini fruttuoso/fertile sono in generale parole molto ricorrenti). Per stabilire l’appartenenza/non appartenenza alla natura si assume quindi il criterio  della produttività o improduttività: chi non produce è sterile, infruttuoso, così l’usuraio che è sterile perché il suo denaro non è denaro ‘vero’.
Analizza una serie di testi letterari: caso celebre di animalizzazione è quello di Vanni Fucci, che Dante ritrae in una tana, come una bestia. A metà del Trecento, la trasgressione economica viene rafffigurata come oscura bestialità, è un discorso che trascende l’opera dantesca. Boccaccio ritrae coloro che si arricchiscono non per avidità, anche se il guadagno va oltre il bisogno e anche se prestano denari a terzi. Siamo di fronte a una sorte di secolarizzazione dei discorsi ecclesiastici: la pratica economica dell’accumulazione del profitto può essere buona o cattiva, non lo è in sè, ma alla luce dell’indole delle persone che gravitano su questo tipo di affari.
Le prediche di Bernardino da Siena, nella prima metà del Quattrocento, parlano molto di economia, ed è intenso il ricorso che in esse si fa agli animali per condannare comportamenti economici aberranti: l’avaro, l’usraio, hanno una natura aberrante, perché è aberrante la natura di certi comportamenti economici. Disumanità di certe persone e comportamenti, come nel caso delle donne che hanno la coda.
Il paragone tra questi testi di provenienza diversa (dottrinario-giuridica, letteraria, religiosa) è interessante per gli interscambi linguistici che esistono tra essi, e perché consentono di identificare la contemporanea rilevanza di alcuni temi in settori diversi.

Discussione:

Emanuele Conte: si chiede se questa eco di argomenti tra settori diversi, su cui tanto insiste Todeschini, rimandi a una centralità del diritto nel pensiero basso-medievale e ad una sua influenza in altri campi.

Sandro Carocci: lo interessa il testo di Bernardino da Siena, all’interno del quale il riferimento alla grotta e alla tenda davanti all’ingresso gli sembra di carattere tecnico, e non necessariamente alludente al discorso dell’animalità. L’usuraio lavora dietro a una tenda per non farsi vedere e il riferimento alla spelonca rimanda piuttosto alla segretezza dell’attività.

Giuliano Milani: richiama l’attenzione sul testo di Boccaccio e sulle eccezioni al peccato di avarizia. Si chiede se esistono dei precedenti, non rinvenendosi questa idea in Dante, per esempio.

Giuliano Milani: “Tra bando e scomunica: forme di esclusione dalla civitas e dall’ecclesia

Il tema è la relazione tra sistemi di esclusione ecclesiastici e comunali nelle città italiane del Duecento. Questa relazione è indagata sia in termini di analogia funzionale (in cosa si somigliano queste due sfere), sia di reciproche influenze (come si modificano vincendevolmente). Il contesto scelto vede una compresenza strettissima di due ordini giuridici.
Quanto all’analogia ad accomunare bando e scomunica è il carattere in negativo, il fatto di consistere in un’esclusione da qualcosa (la comunione, il godimento dei diritti di cittadinanza), che li differenzia in modo profondo dalle pene dei moderni ordinamenti. Non sono pene, ma un modi per costringere qualcuno a obbedire. Questo costringere qualcuno a obbedire privandolo di ciò che gli si dà abitualmente, questo escludere dal patto chi non lo rispetta rendono bando e scomunica uno strumento politico fondante, quello che Mary Douglas invoca per la creazione delle istituzioni e che Giorgio Agamben pone all’origine della categoria del politico.
Supporre che bando e scomunica siano espressioni di questo tipo di meccanismo che serve alle istituzioni ( a ogni istituzione) per stabilire il perimetro che la definisce, consente di risolvere alcuni problemi che si sono spesso presentati nella storiografia.
Uno è quello delle origini, che diventa un falso problema: non è infatti possibilie supporre che che siano nati solo in culture germaniche o latine o ebraiche e così via, sono nate molte volte.
Un altro problema è quello della variazione di livelli di gravità ovvero dell’esistenza di bandi medicinali e mortali, scomuniche e anatemi. Sebbene in molti momenti queste distinzioni sono formalizzate in realtà sono continumente poste in discussione, perchè in ogni provvedimento di questo tipo coesisteno sempre, magari in dosi diverse, una promessa di reintegrazione e una minaccia di esclusione definitiva.
Quanto alle influenze reciproche, è molto difficile decidere se il bando crea la scomunica o viceversa perchè da tempi molto antichi ( le fonti che conosco risalgono almeno al secolo IX) sono usati insieme come parte di un sistema caratterizzato dall’”ambiguità delle istituzioni” che sono  sia laiche sia ecclesiastiche. È molto utile però capire come la riflessione maturata in uno dei due campi poi vada a finire nell’altro. Così per esempio la chiesa prende dal mondo diciamo laico l’idea che la scomunica sia la conseguenza della rottura di un patto, in questo caso con Dio. Viceversa il bando assume dalla scomunica elementi penitenziali, che si concretizzano, per esempio nel confino visto come purgazione.
I contatti si intensificano in due momenti particolari. Il primo è negli anni 1180-1190 quando si rafforzano notevolmente i tribunali ecclesiastici e comunali dopo la morte di Enrico VI. A questa fase risale la riflessione sul ruolo che in questi provvedimenti ha la contumacia. Un secondo momento è quello successivo alla morte di Federico II, quando la dottrina per la prima volta, con l’Ostiense, stabilisce che gli scomunicati non possono contrarre obbligazioni e che chi ha contatti con gli scomunicati deve essere colpito. In questo nuovo clima nel Urbano IV riesce a creare delle parti guelfe in Toscana e dopo di lui si diffonde una nuova persecuzione, al tempo stesso civile ed ecclesiastica, dei sospetti di connivenza con i nemici politici.


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